Intervento della Presidente all’iniziativa “Dialogo Ebraico” del 23 novembre (Firenze)
Domenica 23 novembre si è tenuto a Firenze il secondo incontro nazionale sull’identità ebraica, é stato chiesto alla nostra Presidente un intervento che lei ha fatto e noi volentieri condividiamo con i nostri membri:
Buongiorno a tutte e a tutti.
Il tema della nostra riflessione oggi è l’identità ebraica e, in particolare, il modo in cui l’Ebraismo Progressivo in Italia si inserisce nella lunga e articolata storia dell’ebraismo italiano, e quindi nella sua identità collettiva.
Come sappiamo, l’ebraismo italiano ha conosciuto nel corso dei secoli straordinarie forme di dialogo, di studio e di interpretazione creativa. Figure come Giuseppe Laras, Samuel David Luzzatto ed Elio Toaff hanno rappresentato un ebraismo rigoroso ma non rigido, radicato nella tradizione e allo stesso tempo capace di confrontarsi con il mondo circostante. È probabilmente questa capacità di tenere insieme fedeltà alla tradizione e apertura verso l’esterno che ha contribuito, almeno per un certo periodo, a non far sentire in Italia la necessità di un Ebraismo Riformato, mantenendo comunque un ebraismo italiano nel solco dell’Ortodossia ma aperto e inclusivo.
Nel mio primo intervento a giugno, in questo stesso consesso, avevo già provato a spiegare le ragioni per cui quello spirito — così tipicamente italiano — di adesione alle regole ma apertura al mondo si sia incrinato negli ultimi anni. Molti di noi non si sono più sentiti rappresentati da comunità che, invece di cogliere le sfide della modernità e i profondi cambiamenti della società, si sono chiuse in se stesse, rafforzando una dinamica di isolamento. Un isolamento che a volte prende la forma di un vittimistico ritiro, altre volte del rifugio nel facile abbraccio politico di chi improvvisamente si è mostrato “amico” degli ebrei e soprattutto di Israele. Negli ultimi due anni, con l’aumento dell’antisemitismo e il ritorno di un linguaggio carico di pregiudizi antiebraici, quel senso di solitudine e smarrimento non ha fatto che acuirsi. E questo riguarda tutti: ortodossi, progressivi, laici, religiosi. Tutti quanti, in un modo o nell’altro, ci sentiamo più soli e continuamente tentati di chiuderci “tra di noi”.
Non possiamo però dimenticare che l’Ebraismo — non solo quello italiano — ha sempre vissuto una tensione feconda tra la specificità della propria identità e l’apertura verso il mondo adiacente. Una tensione tra la chiusura autoreferenziale e il dialogo con l’esterno, che ha generato nel tempo un rapporto osmotico, più o meno intenso a seconda dei periodi e delle persone, ma sempre vivo. L’Italia ha avuto maestri che questa tensione l’hanno colta, accettata e interpretata con grande consapevolezza del proprio ruolo.
Non possiamo dimenticare la lezione di Giuseppe Laras, che ha sempre indicato nello studio e nel confronto la via per una vita ebraica autentica. Laras ci ha insegnato che la tradizione non è mai semplice ripetizione, ma continua ricerca di senso. Questa visione dialogica, in cui la Halakhà vive nel rapporto con la storia e con la comunità, è molto vicina al modo di sentire dell’Ebraismo Progressivo. Sappiamo bene quanto sia difficile coniugare la dimensione trascendente con la storia — quella con la “S” maiuscola — e con la modernità, ma crediamo che questa sfida non vada evitata: va affrontata. E anche quando i frutti sembrano incongruenti, restano comunque semi fecondi per la crescita dell’ebraismo.
Rav Samuel David Luzzato ci ha mostrato l’importanza di un approccio filologico e razionale allo studio dei testi. La sua opera dimostra che la ricerca della verità non indebolisce la tradizione, ma la rafforza. Luzzato pone l’etica come cuore pulsante della Torah; una prospettiva che l’Ebraismo Progressivo fa propria, collocando l’azione morale e la responsabilità sociale al centro dell’esperienza ebraica.
Non è un percorso semplice. Lo sappiamo. Mettere l’etica al centro — come Shadal, Lattes e molti altri maestri ci hanno insegnato — è un compito nobile ma delicato. Spesso veniamo accusati, talvolta con tono derisorio, di fare un “ebraismo umanistico” o di coltivare una sorta di “ebraismo della sensibilità”, versioni appena più eleganti dell’etichetta dell’“ebreo buono”. Ma queste critiche, più che ferirci, ci ricordano l’importanza del nostro impegno: non proponiamo scorciatoie, ma un percorso che richiede studio profondo, riflessione comunitaria e coraggio interpretativo. È una strada piena d’insidie, certo, ma irrinunciabile.
L’Ebraismo Progressivo — spesso percepito come una novità — trova invece le sue radici più profonde proprio nella storia dell’ebraismo italiano. La capacità di tenere insieme fedeltà e trasformazione, continuità e risposta al presente, è una caratteristica antica della nostra tradizione.
Non cito Laras, Luzzato e Lattes per appropriazione indebita: so bene da dove vengono quelle voci e in quale contesti hanno parlato. Li cito perché spiegano chiaramente perché noi ebrei italiani progressivi non ci sentiamo eretici quando discutiamo della centralità dell’etica, dello spazio della coscienza individuale, del ruolo attivo delle donne nella vita comunitaria e rituale, e del riconoscimento della diversità dei percorsi identitari. L’identità ebraica non è mai un blocco monolitico: è una trama di interpretazioni e di esperienze.
Il contributo dell’Ebraismo Progressivo oggi consiste nel fornire strumenti e linguaggi per vivere l’ebraismo in modo pieno e consapevole, con le forme del nostro tempo. Non si tratta di sostituire o negare ciò che esiste: si tratta di affiancarsi, ampliare, aprire spazi nuovi a chi cerca un accesso significativo alla tradizione. Come ho già spiegato nel Tavolo di consultazione con l’UCEI, non abbiamo alcuna intenzione di intervenire nei Tribunali Rabbinici ortodossi. La nostra richiesta di riconoscimento non è religiosa: è civile. Vogliamo che l’UCEI riconosca come ebrei noi e le nostre comunità. Lo Stato ha affidato all’UCEI l’onore e l’onere di rappresentare tutto l’ebraismo italiano inteso come unitario: l’UCEI deve impegnarsi nel trovare le forme adeguate per mantenere questo impegno, non é possibile che le Comunità ebraiche progressive in Italia dove lo ricordo, nonostante i buoni propositi costituzionali non c’é una legge sulla libertà di religione, le comunità ebraiche progressive dicevo sono delle semplici associazioni non riconosciute e non enti religiosi a tutti gli effetti. Per diventare ente religioso riconosciuto abbiamo due strade, entrambe lunghe e irte: fare la richiesta direttamente al Ministero degli Interni cominciando un iter ad hoc o entrare dentro all’UCEI, percorso che si sta rivelando ancora più complicato del primo.
Parlare di Ebraismo Progressivo non significa descrivere un ebraismo “altro”, ma una via interna al grande albero dell’identità ebraica italiana. La radice resta la stessa: studio, preghiera, comunità, impegno nel mondo. Ciò che cambia sono i rami, che si aprono per rispondere alle esigenze spirituali, culturali e sociali del presente.
Vale la pena ricordare anche Samuel Hirsch, tra i principali pensatori dell’Ebraismo Riformato europeo, che ha sottolineato la centralità del valore morale della religione e la sua capacità di evolversi con la storia. Pur non appartenendo alla tradizione italiana, il suo pensiero ha influenzato l’ebraismo continentale, offrendo una visione in cui la Halakhà è un processo dinamico.
Qualcuno teme che questo approccio porti a più assimilazione e a questi io non rispondo perché ci sono i dati demografici che parlano da soli: dal 1990 ad oggi i registri delle comunità ebraiche di tutta l’Italia hanno registrato una perdita di iscritti pari al 15-20%. Certo non solo per l’approccio ufficiale dell’Ebraismo italiano, ma ci sono stati altri elementi a condizionare questa flessione: Halyot, ovvero l’emigrazione in Israele di intere famiglie, il secolarismo e il calo demografico questi ultimi due elementi generalizzati nel Paese. Mentre nei confronti dell’Halyah ci sarebbe da fare un ragionamento a parte, il secolarismo e il calo demografico stanno lì a ricordarci che siamo parte della società in cui viviamo, non possiamo appunto prenderci vacanze dalla Storia e dalla modernità. Non siamo isole felici lontane dal contesto, gli ebrei fanno meno figli perché gli italiani fanno meno figli, gli ebrei si secolarizzano perché la società italiana é più secolarizzata. L’ebraismo deve accettare questi cambiamenti e offrire opportunità, mettersi in un percorso dinamico di crescita e accettazione e non di chiusura. Certo interrompere l’usanza italiana del ghiur katan (ovvero conversione alla nascita per bambini di padre ebreo e madre non ebrea) non é andato nella direzione di dare più opportunità e ha creato gravi distorsioni come famiglie in cui i primi figli vengono considerati ebrei e l’ultimo no. Mi dispiace dirlo chiaramente e tahless come sono stata abituata in Israele, la chiusura riscalda i cuori, ci pone in una dinamica calda e consolatoria, anche confortante, ma non ci farà crescere ne’ di numero ne’ spiritualmente
Noi siamo nati e cresciamo per dare spazio religioso anche alle donne; per riparare le distorsioni delle famiglie metà ebree e metà no non per loro scelta, cper impegnarci totalmente nel Tiqqun Olam; per offrire un luogo ebraico a chi non ne ha o non lo sente proprio; per approfondire e studiare modalità interpretative della Halakhà che ci permettano di essere ebrei del nostro tempo. Parlare di “modernità” non è un vezzo: significa prendere sul serio il mondo in cui viviamo.
Ricordo un episodio significativo: quando Raphael Schutz, ex ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, venne a trovarci alla festa per i dieci anni di Beth Hillel, raccontò che i suoi genitori, dopo la Shoah, avevano perso ogni contatto con l’ebraismo. Lui stesso non avrebbe mai fatto il bar mitzvah se non avesse incontrato, a Ramat Gan, una comunità reform capace di accogliere anche il disagio di chi viveva il proprio ebraismo con dolore. Ci ringraziò per questo. E io, ogni giorno, incontro ebrei che si sono allontanati, o che vivono in solitudine un’identità travagliata. Davvero non possiamo trovare uno spazio per questi ebrei?
E’ anche importante affermare chiaramente che l'Ebraismo Progressivo, in Italia come nel resto del mondo, è indissolubilmente legato a Israele e al movimento sionista nelle sue molteplici espressioni. Le nostre comunità partecipano attivamente alle organizzazioni sioniste e alle reti internazionali che promuovono un rapporto vivo, responsabile e consapevole con Israele. In questo contesto, dobbiamo anche menzionare ARZENU, che rappresenta l'Ebraismo Progressista all'interno del Congresso Sionista Mondiale (WZC) ed è parte integrante dell'Organizzazione Sionista Mondiale (WZO). La presenza di ARZENU non è meramente simbolica: dimostra che il nostro movimento contribuisce alla vita sionista globale con idee, impegno e una visione etica radicata nella nostra tradizione.
Per l'Ebraismo Progressista, il sionismo non è un'aggiunta esterna, ma una componente integrante della vita ebraica: significa sostenere la vitalità culturale, spirituale e civica dello Stato di Israele, accompagnarlo attraverso le sue sfide, riconoscerne la complessità e mantenere un dialogo costante e critico – nel senso più alto del termine – con la sua società. Il nostro amore e il nostro impegno per lo Stato ebraico di Israele, come apprendiamo dalla nostra tradizione, non sono mai ciechi, ma sempre impegnati e partecipativi.
Arrivando al presente, ricordiamo che l’Ebraismo Progressivo in Italia non nasce dal nulla. La FIEP, la Federazione Italiana per l’Ebraismo Progressivo, è la cornice dentro cui le nostre comunità lavorano, studiano e costruiscono relazioni. Non è una realtà improvvisata: affonda le sue radici in un quarto di secolo di vita comunitaria. Proprio quest’anno la prima comunità progressiva italiana celebra venticinque anni: un traguardo che mostra quanto il desiderio di un ebraismo inclusivo abbia messo radici.
E poi, il 2 aprile 2025, un passo importante: la firma dell’accordo tra FIEP e UCEI. Un piccolo ma significativo segnale di riconoscimento reciproco, un passo verso un pluralismo che ormai fa parte dell’ebraismo italiano.
Oggi l’Ebraismo Progressivo contribuisce alla vita comunitaria con percorsi di studio accessibili, liturgie inclusive, progetti educativi rivolti alle nuove generazioni e un forte impegno nel dialogo interreligioso e interculturale. Le nostre comunità sono spesso luoghi in cui chi si sente distante dalla tradizione può trovare una porta aperta, un linguaggio comprensibile, un senso di appartenenza. Non per semplificare, ma per rendere la tradizione vivibile e condivisibile.