Essere una giovane ebrea e visitare Auschwitz

Ricordare non basta

Questa riflessione che ben volentieri rilanciamo è stata pubblicata sulla rivista del liceo Tito Lucrezio Caro di Roma.

Il campo di concentramento e sterminio nazista di Auschwitz (1940-1945). Foto di Stanisław Mucha (1895–1976) | German Federal Archives

Di Flaminia Ridolfi | studentessa del Liceo Tito Lucrezio Caro, di Roma

La Shoah. Quante volte ne abbiamo sentito parlare, quanti film ci hanno fatto vedere: ‘’La vita è bella’’, ‘’Il bambino con il pigiama a righe’’; quanti libri ci hanno fatto leggere: ‘’Se questo è un uomo’’, ‘’I sommersi e i salvati’’ e tanti ancora. Tutti conosciamo ciò che è accaduto tra il 1933 e il 1945, il fascismo, il nazismo, le leggi razziali, i campi di concentramento, Auschwitz. Ecco, a ottobre ho avuto il privilegio di visitare Auschwitz, di vedere quel luogo con i miei occhi. Prima di arrivare avevo paura. Paura di ciò che avrei visto e di come avrei reagito. Paura di non farcela, di non riuscire a sopportare il dolore che avrebbe riempito l’aria.

‘’ARBEIT MACHT FREI’’, il lavoro rende liberi, la frase posta all’entrata del campo è la prima cosa che ho visto. Il suolo sotto al cancello è stato creato con le tombe del paesino dove è nata la mia bisnonna, un paesino polacco così piccolo da non poter avere alcun dubbio: qualche mio parente è stato privato del suo sepolcro. Entrare è stato faticoso, e mancava ancora da vedere tutto il campo. La stanza con i resti umani mi ha lasciato senza respiro. Una vetrina lungo tutta quanta la parete, piena di capelli, di ogni colore, di ogni tipo, proprio come quelli che abbiamo noi in testa. Ho guardato questi resti, queste prove, per qualche secondo, poi non ce l’ho più fatta, sono dovuta uscire. Nella stanza successiva non è andata meglio. Esposto c’era un ‘’talled’’, uno scialle indossato dagli ebrei per pregare, lo stesso che utilizzano mio padre, mio fratello, i membri della mia comunità. Stava lì, esposto, appartenuto a qualcuno che credeva di poterlo usare, con il quale credeva di poter pregare, ma gli è stato rubato, e gli è stata rubata la vita. 

Sembra così assurdo, è difficile crederci. Sembra così lontano da noi, solo storia. È storia sì, ma non è così lontana. Il 1933 era 89 anni fa. L’inizio di questo orrore era solo 89 anni fa. Le idee che c’erano in quel periodo circolano ancora. Il 10 gennaio un’ex militante di Forza Nuova è stata ‘’onorata’’ al suo funerale con il saluto fascista e un drappo con una svastica è stato posto sulla sua bara. Il 12 gennaio è circolato un video di un uomo che incolpava gli ebrei per il Covid. Nelle manifestazioni No-vax troviamo persone che sfilano travestite da vittime della Shoah, vestendo la Stella di David, come se dover indossare una mascherina fosse la stessa cosa. La Senatrice Liliana Segre è obbligata ad andare in giro accompagnata da una scorta per le continue minacce di morte che riceve. Ogni comunità ebraica, ogni sinagoga, è obbligata ad avere la sicurezza all’entrata, perché si rischia di subire attacchi durante la preghiera come è successo sabato 15 gennaio in Texas, quando un uomo armato ha preso quattro persone in ostaggio, ma che per fortuna si sono salvate. L’antisemitismo è ancora forte e fa paura. 

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